Eutanasia, il caso di "Libera" in Corte Costituzionale
La battaglia legale da Firenze è arrivata a Roma

Un caso toscano per una prima volta: quella dell'eutanasia in Corte costituzionale. In particolare, il caso discusso oggi è quello di “Libera” (nome di fantasia, da lei scelto a tutela della privacy), una donna toscana di 55 anni, affetta da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata e mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Le condizioni di “Libera” sono state già verificate da parte dell’ASL e ha tutti i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito stabiliti dalla sentenza 242 del 2019, però non è fisicamente in grado di assumere autonomamente il farmaco letale: è completamente paralizzata dal collo in giù, ha difficoltà nel deglutire e dipende dai suoi caregiver per tutte le attività quotidiane. Ha rifiutato la sedazione profonda perché vuole essere lucida e cosciente fino alla fine. Per questo, assistita dai suoi legali* coordinati dall’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, ha presentato un ricorso d’urgenza al tribunale di Firenze, con un’azione di accertamento, affinché, alla luce dell’impossibilità di autosomministrarsi il farmaco letale, autorizzi il medico di fiducia alla sua somministrazione. Questo intervento diretto del medico però oggi integrerebbe il reato di omicidio del consenziente, punito dall’articolo 579 del codice penale, con la reclusione fino a 15 anni.
Il tribunale di Firenze, il 30 aprile scorso, ha quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che punisce con la reclusione fino a 15 anni “chiunque cagiona la morte di un uomo col consenso di lui”, senza ammettere eccezione alcuna, a differenza dell’attuale formulazione dell’articolo 580 che depenalizza l’aiuto al suicidio per persone nelle condizioni di “Libera”.
Dichiara Filomena Gallo, avvocata che ha discusso in udienza pubblica dinanzi ai giudici della Corte costituzionale: “‘Libera’ ha seguito il percorso tracciato dalla legge 219/2017 e dalla sentenza 242/19 e successivi interventi, ha ottenuto le verifiche da parte delle strutture sanitarie pubbliche e ha individuato un medico disponibile su base volontaria ad assisterla, il dottor Malacarne. Tuttavia, la sua condizione di immobilità le impedisce l’autosomministrazione del farmaco: un vincolo esclusivamente fisico che, in assenza di un intervento che modifichi la portata dell’articolo 579 del codice penale, si traduce in un limite giuridico, insuperabile e assoluto, e dunque in una discriminazione intollerabile. Non si tratta di cancellare l’articolo 579 del codice penale. Si tratta, come hanno già fatto i giudici costituzionale per l’articolo 580, di interpretarlo alla luce dei principi costituzionali, e di escluderne l’applicazione nei casi in cui la volontà suicidaria sia libera, consapevole, verificata, e l’unico ostacolo sia un limite fisico oggettivo. ‘Libera’ non chiede un diritto speciale. Chiede semplicemente che la sua libertà di autodeterminarsi non venga annientata dalla propria condizione fisica. Tocca ora alla Corte, con gli stessi strumenti utilizzati per la sentenza 242/19, colmare un vuoto che produce una ingiustizia concreta in attesa di una buona legge che rispetti la libertà di scelta della persona”.