L’errore nell’impianto che apre il fronte dell’inchiesta. A quasi un anno dalla tragedia di San Felice a Ema, la procura ricostruisce un quadro che porta al centro dell’indagine un errore tecnico tanto banale quanto devastante. La caldaia installata nella villa della famiglia Racheli avrebbe avuto i tubi di aspirazione e scarico montati al contrario.
È questa l’ipotesi che emerge dalle indagini coordinate dalla pm Silvia Zannini: un’inversione fatale che avrebbe determinato il ritorno dei fumi all’interno dell’abitazione, saturandola di monossido di carbonio.
Le prime responsabilità e gli avvisi di garanzia
Tre persone, dipendenti di due ditte diverse, sono ora ufficialmente indagate. Da una parte c’è chi materialmente montò la caldaia, dall’altra chi negli anni successivi ne certificò il corretto funzionamento durante i controlli periodici. Un iter che sembrava regolare e che, fino al settembre 2023, aveva portato all’assegnazione del bollino previsto per legge. Eppure, nessuno si sarebbe accorto di quell’errore nascosto nel cuore dell’impianto.
La dinamica ricostruita dagli investigatori
Secondo la squadra mobile, l’inversione dei tubi avrebbe spinto la caldaia ad aspirare aria dal comignolo e a scaricare i fumi in uno scannafosso adiacente al locale tecnico. Da lì, le esalazioni sarebbero rientrate in casa attraverso una presa d’aria, diffondendosi silenziosamente nelle stanze. Un malfunzionamento rimasto latente per anni, in una villa elegante immersa nel verde, dove nulla lasciava presagire il pericolo.
Il guasto al pellet e la notte della tragedia
Quel 19 dicembre, nella villa dei Racheli, si verificò la combinazione perfetta per trasformare un impianto difettoso in una trappola mortale. L’abitazione era riscaldata principalmente da un impianto a pellet, ma due giorni prima si era guastato. In attesa della riparazione, Matteo Racheli aveva riattivato la caldaia. Le finestre erano chiuse per il freddo e l’aria non circolava.
Le esalazioni di monossido invasero la casa durante la notte, provocando la morte di Matteo, della compagna Alcione Margarida e del figlio undicenne Elio. Solo la bambina più piccola, sei anni, si salvò.
Il dolore e le domande ancora aperte
Fu la madre di Elio, preoccupata per il silenzio improvviso del figlio, a raggiungere la villa e dare l’allarme. L’ultima chiamata, la sera prima, si era chiusa con un “ho mal di testa”, uno dei primi segnali dell’intossicazione da monossido.
Oggi l’inchiesta cerca di stabilire chi avrebbe dovuto accorgersi di quel difetto e in quale momento la catena dei controlli si sia interrotta. Una risposta necessaria per comprendere fino in fondo come un errore tecnico possa trasformarsi in una tragedia familiare destinata a lasciare il segno.