L'esposto

Licenziata perché transgender: la battaglia di Jenny

La donna accusa 3 ex colleghi di falso dopo che il giudice le aveva dato torto

Licenziata perché transgender: la battaglia di Jenny
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Era stata licenziata, a suo dire perché è una donna transessuale. Ma il giudice aveva dato ragione all’azienda. Ma ora lei torna alla carica e attraverso il suo legale ha presentato un esposto per falsa testimonianza contro tre persone sentite in giudizio durante la sua causa di lavoro.

E rincara la dose mostrando i bilanci dell’azienda, che ufficialmente l’aveva estromessa a causa di un momento di riferita difficoltà economica: "Ma nell’ultimo anno il fatturato è aumentato".

Jenny - è il nome recentemente scelto dalla 35 enne - nell’esposto presentato nei giorni scorsi alla Procura di Pisa, contesta numerosi rilievi ai testimoni, ma il principale è quello secondo cui la donna avrebbe ricoperto nell’azienda una mansione di bassa manovalanza, insomma un posto di lavoro facilmente sostituibile.

"Il livello della mia specializzazione tecnica è molto alto, tanto che in azienda dal mio precedente lavoro mi ero portata dietro molti miei clienti", racconta dall’alto di una lunga esperienza nell’impiantistica delle piscine.

Tanto che, spiega lei, "nonostante la presunta crisi l’organico della ditta tre mesi dopo il mio licenziamento è cresciuto di quattro unità: eravamo 7 e licenziata me da 6 sono passati a 10".

E aggiunge: "Mi dispiace dover fare un esposto contro tre ex colleghi, ma sono in condizione di sudditanza rispetto all’azienda e hanno dichiarato il falso".

Jenny, un anno, fa era stata licenziata via Whatsapp dall’azienda non molto tempo dopo aver detto a datori di colleghi che di lì in poi avrebbe abbandonato il suo nome maschile per intraprendere il percorso che porta alla transizione di genere.

Ma la reazione del titolare, di cui la donna conserva e ci mostra numerosi post social con posizioni critiche nei confronti della comunità lgbt e anche con derive misogine (un fatto che il giudice ha tuttavia ritenuto irrilevante), sarebbe stata di netta censura rispetto alla sua scelta.

Solo un collega l’aveva sostenuta arrivando a mettere per iscritto una testimonianza in cui confermava l’abitudine del titolare a esprimere "accezioni omofobe nei confronti della comunità lgbt e nei confronti della clientela omosessuale".

Jenny conclude amara: "Sono una persona che per via di un coming out riguardante il mio percorso di transizione per la riassegnazione di genere ha subito un licenziamento illegittimo sulla base di un comportamento discriminatorio da parte dei titolari che apertamente si dichiarano fascisti e omofobi".

La battaglia in Tribunale continua.

 

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