Accesso senza controlli

Droga nel carcere di Prato, struttura Caritas come base di rifornimento

L'inchiesta ha messo sotto la lente 127 detenuti

Droga nel carcere di Prato, struttura Caritas come base di rifornimento
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Un paradosso che si aggiunge a uno scandalo che già purtroppo era ben noto: per portare la droga all'interno del carcere di Prato La Dogaia i detenuti si servivano di una stabile della Caritas come centrale di rifornimento e di stoccaggio di stupefacenti (cocaina e hashish).

A scoprirlo la procura pratese, guidata da Luca Tescaroli, nell'ambito dell'indagine contro l'ingresso di telefoni cellulari e droga nel penitenziario.

La centrale si trova in via Pistoiese a Prato: la struttura della Caritsa, costituita da sei stanze (tra cui tre camere, una cucina, un bagno), era stata messa a disposizione dei detenuti autorizzati a uscire dal carcere, i permessanti, che vi avevano accesso indisturbato e senza controlli. Questo permetteva loro di rientrare alla Dogaia riforniti di droga, con la complicità degli agenti indagati.

La cocaina è stata trovata dietro lo specchio del bagno; l'hashish è stato invece trovato in cucina nascosto dentro un forno insieme a un bilancino di precisione.

Il maxi blitz di sabato mattina ha scoperchiato un vaso di Pandora di cui la procura di Prato era consapevole da tempo. I telefoni cellulari e la droga arrivavano all’interno della Dogaia in libertà; i dispositivi mobili erano utilizzati anche dai detenuti dell’Alta Sicurezza dove si trovano recluse anche persone accusate di reati di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti.

A finire sotto la lente degli inquirenti 127 detenuti, di cui 27 indagati formalmente: 14 dell’area Alta Sicurezza e 13 della sezione Media Sicurezza.

Tre agenti della polizia penitenziaria sono formalmente indagati per corruzione: in cambio di denaro avrebbero facilitato l’ingresso di telefoni e droga.

Ad altri tre è contestato il reato di rifiuto di atti d’ufficio e lesioni colpose nell’ambito della vicenda dell’aggressione a Vasile Frumuzache, il killer delle escort.

L’episodio più clamoroso nel novembre scorso, quando all’interno del carcere di Prato furono lanciati alcuni palloni da calcio: dentro c’erano dieci smartphone destinati ai detenuti. Da luglio 2024 la Dogaia è finita al centro di un’inchiesta della procura guidata da Tescaroli che sabato scorso ha dato il via al maxi blitz per porre fine a una situazione carceraria purtroppo nota da tempo.

Uomini del nucleo investigativo regionale di polizia penitenziaria, squadra mobile di Prato, carabinieri di Prato e guardia di finanza in una maxi operazione hanno ispezionato a fondo la struttura: all’interno hanno operato 263 agenti, all'esterno altri sessanta per fronteggiare il rischio di eventuali rivolte.

Il bilancio è notevole: in un anno sono stati sequestrati 34 telefonini e 2 sim, oltre a microtelefoni e addirittura un router per connettersi alla rete. Tra le celle, un vero arsenale tecnologico: smartphone, microtelefoni, smartwatch, router Wi-Fi, Sim intestate a prestanome. Il tutto era nascosto nei sanitari smontati, nelle pentole, tra i doppi fondi delle cartelline, persino nella cavità anale.

 

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